LA VIOLENZA ESISTE
La violenza esiste, le donne si sentono purtroppo responsabili di quello che succede loro e provano pure un forte senso di colpa. Il fenomeno della violenza è devastante per tutti noi, il cambiamento deve scattare a livello mentale, proprio dentro quella testa che la violenza va a colpire – per spegnerla.
Ripeto da anni che bisogna sentirsi in diritto di cambiare, di essere felici, anche se so che non è facile e sono la prima a trovare intollerabile la lungaggine, la fatica e la sofferenza delle donne che decidono di dare una svolta alle situazioni in cui si trovano a vivere. Ma da lì bisogna passare, è indispensabile immergersi anche nel profondo della nefandezza degli animi umani.
Denunciare è una mossa adeguata, che presuppone un atteggiamento mentale di sentirsi in diritto di proteggersi. Arrivare alla denuncia non è semplice, perché mentalmente e legalmente è importante essersi strutturati per reggere anni di impegno personale estenuante, anche nelle varie sedi burocratiche.
Prendiamo il caso più frequente di donna con questa posizione di base: <poca pratica all’autonomia mentale, al sentirsi competente, auto biasimo, scarso concetto di sé, controllo manifesto dei genitori ( a tratti biasimanti) che si sono occupati di lei, comportamenti dipendenti, compiacenti, desiderio di mantenere contatto con una persona, anche se ciò significa tollerare l’abuso …>; che subisce violenza in casa dal marito. Difficilmente potrà ricevere appoggio sia dai suoi familiari che da quelli del coniuge; si sentirà ancora più sbagliata; se ha la fortuna di incrociare una collega, una amica che la indirizza magari in un centro antiviolenza o altra possibilità privata , ha probabilità di interrompere tutto. Con una fatica mostruosa.
L’ascolto di una persona che ha subito violenza richiede una delicatezza umana che pochi hanno, sanno dare e soprattutto che queste donne ricevono raramente.
Purtroppo viene anche proposta la mediazione familiare in casi di violenza dalle istituzioni
Bisogna lavorare sul valore individuale delle donne, siamo lontani dal rispetto e da strumenti di tutela adeguati, NON PER COLPA DELLE DONNE. Le responsabilità sono di tutti!
E’ difficile far capire alle donne che cosa significhi esser incastrate in una relazione sentimentale inadeguata, solo perché si è state abituate male sin dall’inizio della propria vita. <Non crediate che la dipendenza relazionale non sia abbastanza grave da uccidervi. E’ una condizione che produce uno stress incredibile, e noi tutte sappiamo che lo stress può uccidere. Siate disposte a qualunque sacrificio per liberarvene. Si tratta di salvare la vostra vita> p.177*
<Nella storia familiare viene fuori la bambina “tappezzeria”, invisibile agli occhi dei genitori, che non poteva esprimere i suoi bisogni , apparentemente sempre autosufficiente che impara ad occuparsi e a pensare ai bisogni della mamma e a soddisfarli. Quando sarà più grande si scontrerà con il papà per dare alla mamma l’esempio di come reagire.
Rapporto padre figlia. Papà in prevalenza emotivamente distante, non ha troppo dialogo con la figlia, la cui cura lascia alla mamma. Essendo stato spesso il padre, un figlio profondamente privato di affetto e con carenze emotive, fa apprendere alla figlia un modello maschile freddo, problematico. Anche con il padre questa figlia deve fare lo sforzo di “capire” cosa pensa e cerca di prendersi cura di lui. Sente che la mamma non lo capisce davvero, invece lei si, saprebbe come calmarlo e guarirlo. La bambina si struttura attorno all’idea di dover capire i bisogni degli altri e soddisfarli. Nessuno la aiuta a capire quali siano i suoi bisogni e questo le impedisce di sviluppare un’autonomia affettiva>. Contenuti tratti dalle lezioni della dott.ssa M.C.Gritti, Psicologa e Psicoterapeuta, specializzata nel trattamento della Dipendenza Affettiva.
Donne (queste bambine diventate grandi!) che funzionano sul lavoro, che hanno spesso una loro autonomia economica, che crescono figli cercando di dar loro tutto quello di cui pensano abbiano bisogno (scuola, sport, attività ricreative), sino a quando ad un certo punto precipitano. Loro pensano di essere solo stanche, un pò di esaurimento, ma comunque è saltato un equilibrio che sembrava perfetto.
Le persone (familiari, amici, colleghi) che stanno loro attorno cercano di tranquillizzarla, un po’ come fossero solo scivolate via da un binario; qualcuno consiglia farmaci. Per fortuna o per caso nel mucchio c’è chi indirizza dallo psicologo: sempre molto tardi, ma davvero si può dire meglio tardi che mai!
Il concetto più difficile da far passare é che devono prendersi tempo per loro. Ma io come psicologa sono la prima che introduce questo tema, nessuno ha mai pensato a loro, le ha mai considerate persone con bisogni ed interessi, sono cresciute con l’idea di non dover dare fastidio, arrivano in punta di piedi in studio, quasi non trovano il tempo per una seduta perché hanno infiniti impegni. Dedicare del tempo a loro stesse non è previsto; spesso si giustificano dietro gli impegni dei figli. I figli rischiano di diventare come loro: perchè se una mamma non è stata abituata a pensare a se come persona, come fa a pensare ai suoi figli e più che altro abituarli ad aver cura di loro stessi? Questi figli rischiano paradossalmente di dover pensare alla mamma, a farla sorridere, a starle vicino. Così si ricade nel circuito.
Talvolta la psicologa sembra la strega cattiva che rompe un incantesimo destinato a durare per sempre.
Care donne, quando iniziate a stare male, a percepire dentro malessere, anche se non volete farlo vedere agli altri, però pensate a voi, fate qualcosa, non buttatevi solo ed esclusivamente sui farmaci.
Non pensate che un uomo possa donare felicità perché voi non vi sentite capaci di niente
o meglio trovate valore nell’occuparvi anche dei capricci di lui.
<Imparate a vivere evitando di concentrarvi su un uomo come la fonte o la soluzione di tutti i vostri problemi> p.45* Non soffrite perché amate troppo, ma perché perdete la sfida di salvare quel preciso partener e quindi vi sentite incapaci e delle schifezze.
Dovete imparare a sperimentare un senso di benessere personale che non deve dipendere per forza dalla relazione, ma da voi stesse.
<Noi donne che amiamo troppo ci comportiamo come se l’amore ,la considerazione e la stima non valessero nulla, a meno che non ci riesca di estorcerli a uomini che, per motivi e preoccupazioni personali, non sono in grado di offrirceli> p.19*
* R.Norwood “Un pensiero al giorno (per donne che amano troppo)” Universale Economica Feltrinelli