La fiera delle ovvietà insipide.
Questa mattina come spesso faccio ho acceso il pc per andare a vedere le previsioni del tempo, nella stessa pagina c’è la prima pagina della cronaca di Savona.
Ho pianto! Ho letto la notizia della morte di un ragazzo di 17 anni. Ho pianto di rabbia per lui che non avrà altra possibilità di vita, nessuno potrà fare niente per restituirgliela.
Di dolore per i genitori , per i familiari e per gli amici. Per quelli che hanno vissuto un tratto della sua esistenza. Per il vuoto che hanno dentro. Ho pianto egoisticamente per il mio di figlio, ben consapevole che non potrò mai fare niente per proteggerlo.
Ho pianto per il senso di impotenza che noi umani siamo costretti a sperimentare, sino ad arrivare al punto di dimenticarci che forse qualcosa di più per noi e per gli altri attorno a noi potremmo fare.Ho pianto per un futuro che non ci sarà e per quello che inevitabilmente è andato a modificarsi.
Ho pianto con la mia mente bambina pensando perché non muoiono solo le persone inutili, quelle che sembra causino solo fastidio agli altri, quelle cattive, prepotenti ed infestanti. Ho pianto perché il nulla prevale, dilaga e annichilisce anche le anime più pure.
Certamente scrivo per me, non saprei cosa dire ai parenti, beh non è proprio così, perché poi quando entri in contatto con il dolore acuto o ti spegni completamente o ti attivi, almeno perché consapevole che a te non è stato tolto niente, lo sforzo di avvicinarti con il dolore altrui devi farlo, non puoi essere così codardo da ritirarti solo per non farti intaccare dalla angoscia della morte.
E’ vero che poi tutte ste conversazioni, disperazione, tristezza pianto non sembra che siano all’ordine del giorno, per lo meno nella maggior parte degli ambienti che io ho frequentato ed attraversato. La leggerezza di pensare che tocchi sempre agli altri è predominante, l’egoismo sfrenato di non occuparsi di niente impera.
Con queste parole non placherò il dolore altrui e neanche il mio sconforto, ma non mi sentivo di tacere. Per questo il titolo è stato la fiera delle ovvietà, senza sapore, incolore che attraversa i corpi e le menti delle persone che si muovono pensando solo a loro stessi ed in molti casi neanche riuscendo a tenere a bada il loro vuoto.
Piango ora, perché la morte di un figlio, di un ragazzo è un cratere immenso, incolmabile, un dirupo che inghiotte poco per volta; forse solo la speranza del futuro di chi non è stato coinvolto nel dramma può creare un piccolo appiglio per non essere assorbiti dal vuoto.
Queste mie parole inutili spero attivino nei lettori (che so essere spesso persone attente e responsabili) un maggior senso di partecipazione alla vita che li circonda, perché il dolore può essere fronteggiato solo condividendolo, una volta che ha bruciato l’anima.