Giovanna Ferro

Piscologa e Psicoterapeuta a Savona

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Chi ha rapito la ciabatta?

28 aprile 2017

Chi ha rapito la ciabatta?

Aveva già preparato il bando di ricerca di una delle due ciabatte, qualcuno aveva osato dividerle, forse per sempre: chissà che trauma per quelle due colorate e ergonomiche pantofole abituate a stare sempre assieme!

Sparita in una mattinata di ordinaria istruzione scolastica, mentre lui era nella sua  classe. Come aveva potuto abbandonarlo senza salutarlo? almeno una carezza ai suoi piedi di pre adolescente in via di formazione.

Quei piedini che quando era neonato tutti adoravano ed oggi invece che sono cresciuti tutti invitano solo a lavarseli, a cambiarsi le calze … ad allontanare le ultime scarpe indossate, perché il timore di essere investiti da una nube maleodorante è sempre dietro l’angolo …

Aveva diffuso un messaggio anche su gruppo WhatsApp per attivare i suoi amici ad aiutarlo, almeno con i loro messaggi di appoggio, anche se molto in stile di sostegno calcistico.

Insomma è un classico che il figlio chieda a sua mamma al rientro in casa: dove sia finita una delle due ciabatte. Non abitando nella reggia di Caserta è certo che basterebbe dare una rapida occhiata in camera sue per scovarla sotto la scrivania, dietro un angolo del letto o degli armadi, dietro la porta. Ma questa semplice abitudine non sembra abitare nella testa di alcuni ragazzi.

Basta lasciarli fare, soprattutto lasciarli fare, ossia provare a cercare quello che abbandonano per casa, senza sostituirsi a loro, anche quando invitano ad aiutarli perché proprio non riescono a trovare l’oggetto del momento, anche se arriveranno tardi a scuola o ad allenamento.

Devono imparare ed allenarsi anche i figli a cercare le loro cose, non ritengo opportuno che i genitori rinuncino al loro tempo per compiere semplici azioni che i figli stessi sono in grado di fare.

Basta non rispondere per un paio di volte alle loro richieste, ed almeno quella del momento, così che impareranno a portarle a termine.

Certo sono creativi e spinti dal loro istinto di sopravvivenza (con risparmio estremo delle loro energie personali) a formulare richieste sempre innovative, o a trovare giustificazioni per non riuscire a garantire la loro presenza.

Ma se io come genitore dico di no, non sento di offenderlo mortalmente con il mio diniego, non lo sto traumatizzando,

e quando proprio non voglio assistere al caos materializzato nella stanza, chiudo semplicemente quella porta, la porta della sua camera.

Sia il si che il no richiedono poco fiato per esser pronunciati, il no però garantisce ai figli di costruire l’autonomia di vita. Allora cerco sempre di optare per il no, anche di fronte allo sguardo di povera vittima offesa che lui mi rivolge!

 

Foto verde by Donatella Canaparo.

 

 

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