NON SI RIESCE A SCAPPARE …
Chi come me lavora nell’ambito della violenza familiare sa bene che è inevitabile che la donna non riesca a scappare al primo ceffone.
Incitarle a farlo subito, etichettarle come delle incapaci perché non riescono a farlo non contrasterà il problema della violenza, anzi le farà sentire ancora più incapaci e più sole.
A meno che non volesse essere una provocazione l’articolo apparso sui giornali nei giorni scorsi nei confronti di troppi uomini che si sentono forti, di coloro che pensano di essere furbi perché raggirano la legge, dei parecchi operatori delle istituzioni contro cui molto donne si trovano nuovamente a lottare (quando invece si aspetterebbero protezione, soprattutto per i figli della coppia in questione), degli avvocati che in una logica distorta trovano delle ragioni in un carnefice che non ne ha alcuna!
Mettendosi nei panni di una donna che sta vivendo una situazione di violenza familiare, leggere tali parole non farà altro che inchiodarla nella sua situazione terrificante. Come potrà pensare di ricevere fiducia da qualcuno, quando attorno a lei echeggia il messaggio che proprio lei, anche lei, non riesce a scappare al primo ceffone?
I fatti sono importanti, ma fondamentale è scendere nei particolari di funzionamento di questa donna che non sa proteggersi; ma non sa proteggersi non perché sia una perfetta cretina, ma perché non ha ricevuto quella adeguata dose di stima e di fiducia in lei stessa tale da potersi organizzare la sua vita personale basata sul rispetto di sé stessa.
Oggi poi sappiamo che la violenza è un fenomeno trasversale al livello socio-economico, culturale di appartenenza.
Non diventano vittime solo quelle che sono vissute in contesti violenti e disagiati a livello sociale come si diceva una volta; sono vittime donne cresciute in contesti apparentemente perfetti, dietro a splendide “facciate di rispettabilità sociale”, in cui però purtroppo non hanno ricevuto amor proprio.
Genitori anche stimati dagli altri, professionisti e famiglie magari anche in vista, in cui però c’è stata l’incapacità di far funzionare la coppia e quindi i figli.
In tanti anni di lavoro in questo tipo di contesto continuo a ripetere che difficilmente saranno i familiari a dare sostegno alle vittime, loro sono i primi che hanno coperto situazioni inaccettabili e soprattutto hanno costruito un modo di funzionare a livello personale che non contempla il rispetto, il confronto, l’amore, la capacità di dialogo, di mettersi in discussione e soprattutto se qualcosa non funziona farsi aiutare senza provare vergogna.
Ho cercato di aiutare queste donne soprattutto a sconfiggere il senso di vergogna di trovarsi in situazioni tremende, in cui i familiari per primi puntavano il dito contro di loro; e la donna non ricevendo sostegno dai familiari si sente costretta a rimanere e a farcela da sola contro un aguzzino difficile da contrastare da sola!
Ci sarebbero da aggiungere tanti altri fattori, ma la mia speranza nello scrivere questo pezzo è che almeno una donna trovi la forza di contrastare lo schifo che sta vivendo in casa sua per iniziare a vivere diversamente.
Bisogna sentirsi in diritto di essere felici, anche se non è per niente facile, se ci vorrà tanto tempo, mesi ed anni, ma iniziare a pensare al cambiamento è possibile.
Continuerò a consigliare a chi si rivolgerà a me l’importanza di un lavoro psicologico personale fatto da professionisti competenti, perché sì anche una donna che subisce violenza deve sentirsi in diritto di scegliere lo psicoterapeuta da cui farsi sostenere nel cambiamento. Sceglierlo con cura, senza affidarsi al primo arrivato o a chi si proclama come ipotetico e subitaneo salvatore.
Solo allora quando continueranno a dire che bisogna scappare al primo ceffone scatterà dentro un guizzo di vita e di amor proprio, al posto di sentirsi solamente una incapace.